“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca o colore dei vestiti, chi non rischia, chi non parla a chi non conosce.” Lentamente muore, P.Neruda
Il lato positivo del non andare in vacanza è che la vacanza non finisce mai… Perché non è mai iniziata. La città si svuota, la munnezza sparisce, il traffico diventa un brutto ricordo, perfino le blatte se ne ritornano annoiate nelle “saittelle”, e restano solo indiani e sanpietrini, le camionette dell’Asia si portano via gli ultimi materassi abbandonati, e tutto torna alla normalità, Napoli può finalmente respirare un po’: le facce cambiano, sembrano più rilassate, la birra ha un sapore diverso, Woody Allen fa più ridere, la penna, sul foglio, scivola meglio. Così decido di lasciar crescere la barba per un articolo sul mio agosto senza timore di venir chiamato barbone dalle auto in corsa che vengono da piazza Municipio, rado i capelli e faccio una cresta come Robert De Niro in Taxi driver e magari la tingo di verde, perché non ho paura di venire guardato storto dall’impiegato alle poste. Forse me ne andrò in giro coi sandali, tanto nessuno baderà al mio look, e userò la stessa maglietta per un mese, perché nessuno lo noterà, perché “la sfaccimma della gente” non ci sarà a sporcare, a denigrare, a deteriorare, a uccidere lentamente Napoli “che lentamente muore poiché schiava dell’abitudine”, a succhiare la linfa della città ogni giorno, a seguire mode improbabili, a cantare canzoni improbabili, a creare opere d’arte con la munnezza: salotti metropolitani abbandonati al degrado, ad urlare, ad occupare, a non rispettare la fila, ad andare “a ballare” piuttosto che a costruire, a sparare pallottole e parole senza senso perché non sia mai che tu sia migliore di loro, ad accalcarsi, a scippare i Rolex a via Roma, a fare convegni sui motorini rallentando la circolazione, ad insultare il silenzio della notte e chi ogni mattina si deve alzare presto, a guardare programmi stupidi e la partita la domenica come se fosse la cosa più importante, a scommettere, a riciclare denaro, a “faticare” coi compromessi perché questa è Napoli e il lavoro non c’è, a non voler aprire un dialogo con chi è diverso da loro, a preferire il dilettevole all’utile, la moto alla bici, la domenica al lunedì, a non fare il biglietto sul tram, a comportarsi come se la città fosse loro, a Napoli. Ma forse sono solo uno stupido romantico illuso, però mi piace pensare di esserne sicuro. Sono sicuro che nessuno tra loro noterà il cambiamento. Noi invece siamo e dobbiamo essere diversi. O diventeremo tutti “‘a sfaccimm’ ra gent”… Non c’è un modo migliore per dirlo, almeno io non sono riuscito a trovare un’altra parola che riesca a rendere così bene l’idea.
Lasciate che, come Napoli in agosto, vi si possa prendere l’ultimo materasso. Lasciate che i sogni non smettano mai di operare attraverso i vostri sensi. Lasciate che il cambiamento non sia una sorta di sopravvivenza alla malattia del sogno, non lasciate che il suo prodotto sia un bene prezioso riservato a pochi. E di tanto in tanto ricordatevi di guardare il cielo. E se siete abbastanza bravi potrete notare la fitta nube di smog dilatarsi e trasparire pian piano un cielo, che non è né azzurro né grigio, è un cielo stanco ma vivo, che sembra un vecchio signore con tante cose da dire, fiero, assorto, un po’ arrabbiato.