Ci sono bagni e bagni, che inevitabilmente incontriamo nella nostra vita, i miei li ho sempre fotografati, non tutti ovviamente. C’è un bagno per ridere, uno per aspettare, uno per “liberarsi”, uno per piangere, uno per cambiare… Ho iniziato a scrivere di bagni pubblici per gioco: mi divertivano le insegne e le storie che si andavano a scoprire dietro le attese, a volte estenuanti, per entrare. Mi divertiva la ricerca di un concetto applicato a un oggetto di uso comune apparentemente banale, e ancora di più la riflessione che si andava a iniziare con gli altri in circostanze di un sano confronto. Ho visto persone che durante l’attesa hanno fatto amicizia, che a volte si sono scontrate in risse da sbornia. Una volta un tizio trovò una sedia fuori a un bagno del centro e si addormentò… Mi piace pensare che sia ancora lì svegliandosi ogni tanto per capire se è arrivato il suo momento di entrare.
E così continuo a ritrovarmici costantemente portando avanti un certo discorso che è ironicamente collegato a un gabinetto, e uno di questi, in foto, è uno di quelli importanti, uno di quelli che mi hanno salvato la vita. Questo bagno per me è inestricabilmente connesso a una sfera affettiva personale, gli ho voluto bene poiché ha saputo ascoltarmi molto più di quanto io potessi immaginare, e grazie a lui ho capito chi e come voglio essere.
Immaginate uno periodo buio della vostra vita dove tutto è monotono e passate ogni giorno a dirvi “non ce la faccio”. Avete presente? Temo di sì. Vi accorgerete, adesso che ne siete fuori, che molte delle vostre preoccupazioni di allora erano causate semplicemente da voi stessi. Sì, paradossalmente la causa era dentro di voi e la stavate cercando fuori da voi. Immaginate di non riuscire a uscirne, ma che un giorno all’improvviso la trovate, la risposta. E allora ogni cosa sembra prendere senso e le persone iniziano a prendere forme concrete che non avreste mai immaginato. Iniziate a uscire fuori alla ricerca del mondo e ne uscite da voi stessi infine più forti di prima, molto più grandi, più saggi, con una verità da condividere.
Ho frequentato questo bagno per circa quattro anni, entrando pieno di interrogativi e uscendo con molte risposte e con ancora più interrogativi, per fortuna. Ma la risposta alla fine l’ho trovata, e devo ammettere che mi ha salvato la vita. Perché prima di allora non avevo consapevolezza della mia natura, perché alla fine di questo stiamo parlando, e quando me ne sono accorto ho dovuto semplicemente seguire l’istinto, perché allenarsi nell’immaginare un futuro diverso rende le cose migliori e smettere di sognare rende la vita diversa, di un diverso scomodo che calza male e fa male. Il primo passo è: accettarsi. Ma come?
Convengo con voi che raccontarsi è molto difficile, a nessuno piace sentirsi giudicati, specialmente se questo giudice appartiene a un lato squisitamente interno di noi stessi a cui non possiamo mai mentire perché poi ce la fa pagare cara. Ci comportiamo a volte come se potessimo in qualche modo fregare quell’energia interiore che sa tutto e ci conosce meglio di chiunque altri, eppure ci proviamo ogni volta, ricadendo nello stesso medesimo errore. Il risultato? Una serie di eventi fuorvianti per provare a scappare che interferiscono con il nostro stato emotivo, che inizia, con giusta causa, ad alterarsi e inevitabilmente a sciuparsi e ad esaurirsi fino al completamento dell’esperienza deleteria. Possiamo però cambiare prospettiva. Come? Non buttando niente nel cesso.
Durante una fase difficile della nostra vita può capitare di avere la sensazione di non avere più niente e a disposizione per riuscire ad affrontare questa nuova sfida, e ci sentiamo impreparati come se fossimo dei bambini, impreparati senza mezzi ed esperienza. Ecco, bambini, questa è la chiave, accettare di ritornare bambini per prenderci ciò che serve e poi ripartire da dove eravamo rimasti. Mi è capitato spesso di sentire che molti credono che sarebbe inutile arretrare e ripartire da ciò che si è stati, e come dargli torto? Chi dice di poter cambiare davvero in ogni momento poiché ne possiede le capacità si sta solo illudendo, infatti molte volte non è disposto o non hai mai imparato a sacrificare o a rivalutare le sue convinzioni, perché questo comporta un lavoro riflessivo di una portata emotiva molto importante, e troppe volte la paura è quella di perdere il proprio mondo. Ma non è proprio questo il mondo in questione che a volte inibisce la nostra natura rendendoci schiavi di processi che non si è mai stati in grado di riuscire a valutare da soli? Non è pur vero che bisogna arretrare di qualche passo per spiccare un buon volo?
“I cormorani sono uccelli capaci di splendidi voli, che prima di spiccare il volo definitivo, hanno una regressione a fasi precedenti dello sviluppo: esibiscono, cioè, modi di agire, meno organizzati per poi progredire: per esempio un cormorano quando è già in colonia, “ritorna a casa” per farsi nutrire di nuovo dai genitori, poi, dopo due o tre giorni, spicca il volo definitivamente, scompare con la sua colonia, senza fare caso ai “cinguettii di chiamata” dei genitori…”