Napoli 31/05/2012
Erano passati sedici anni da quando si era stabilito a Napoli. Si era innamorato di quella disordinata grazia, di quell’entropia, di quelle voci così naturali e schiette, percepite come volgari dalla maggior parte dei turisti. Piazza del Gesù era una sorta di zona franca, lì si fumava coi poliziotti che guardavano a pochi metri di distanza, lì si beveva fin quando il fegato poteva reggere. Seduto su una scalinata, proprio al centro del caos, si divertiva a guardare il mondo che gli passava davanti nevrotico, agitato da un domani sempre incombente. A chi aveva voglia di ascoltare raccontava un po’ delle sue storie, accompagnate dall’odore di alcool e tabacco. A chi aveva voglia di parlare prestava ascolto e dava volentieri qualche consiglio, se richiesto. Sorrideva dei giovani innamorati, ma senza la malinconica invidia dei suoi coetanei, perché lui era ancora capace di innamorarsi come se fosse la prima volta. Dalla sua abitazione, una casa diroccata in una vigna incolta, poteva vedere il golfo e l’intera città. Gli piaceva immaginare come dovesse essere quel posto quando ancora il progresso non l’aveva catturato. Erano lontani i giorni in cui a Londra poteva ascoltare i gruppi rock che erano ormai parte della storia. Erano lontani i giorni in cui c’era da lottare per qualcosa. Ma non provava nostalgia, il mondo doveva cambiare, era giusto così. Il domani sarebbe stato ancora differente e comunque qualcuno capace di ardere stava crescendo o nascendo, e altri ne sarebbero arrivati. A questo pensiero gli scappò un sorriso.
I segni del tempo sulla sua pelle sorridevano con lui.
Sarebbe morto da solo un giorno? Magari al suo fianco si sarebbe trovato un amico di vecchia data, oppure qualche ragazzo conosciuto a Napoli. O ancora meglio una donna. Ma non importava pensarci. Anche perché il mondo, il mondo che gli apparteneva e che era lui, lo avrebbe seguito. In questo senso, pensava, nessuno muore da solo.
Intanto respirava un nuovo viaggio, invitando la vita all’ennesimo ballo, senza alcuna bandiera, senza nessuno a cui dover dare spiegazioni o preoccupazioni, senza radici e con un domani identico a ieri.
Sulle gambe e sulle spalle un po’ di stanchezza, il peso della propria leggerezza.
Nel cuore la disillusione di chi ha visto tutto e l’ingenuità di un bambino.
Sul viso segni acerbi di una splendente e nuova antichità.
Nelle mani l’infinito”.
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