Ciro è di Napoli ed ha 16 anni.
Come tutti i suoi amici del rione guarda Gomorra con ammirazione imitando quei gesti e quel parlare che fino a poco tempo fa erano limitati a quelli buoni e malamenti che ce l’hanno fatta riuscendo ad arricchirsi e a farsi rispettare, decidendo che da grande sarà uno di loro, perchè in questa giungla sopravvive solo chi si fa valere con gli insulti e le mazzate.
Suo padre è in galera per “associazione” e sua madre vende palline di cocaina dalla sua abitazione al piano terra per tutta la notte e a volte vorrebbe scappare ma preferisce rifugiarsi in quel mondo mitico dove la polizia non esiste e la violenza vince sempre su tutto.
Qualcuno additandolo dice che è colpa di Gomorra se da qui a un paio d’anni seguirà le orme del padre o peggio verrà ucciso in una sparatoria tra gang.
Quel qualcuno dà la colpa all’irrealtà di una serie che stigmatizza la camorra rendendo accessibile una dimensione che prima era collegata a un diritto di nascita, come a dire che chi ha ucciso in guerra nel ’39 è perchè ha seguito la radio sbagliata.
Quel qualcuno è certo che se Ciro finirà male è perchè ha visto troppa tv, non perchè suo padre gli offre arance e tante scuse in quei pochi minuti di visita a Poggioreale.
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