Ma ciò che non vedeva era l’espressione dei propri occhi: erano così belli e annunciavano un’anima così ardente che, come fanno gli attori ottimi, davano talvolta un sentimento a parole che non ne avevano.
Stendhal, Il rosso e il nero
Ero lì a lato dei binari che aspettavo il mio treno con la testa che mi scoppiava. Mi capita spesso: la testa mi scoppia di pensieri che si accavallano ed esplodono all’improvviso. Non posso farci niente, ho imparato a conviverci io col mal di testa, fa parte di me. Ero lì a lato dei binari che cercavo di trovare una risposta perdendomi lungo la ferraglia che scompare come uno spettro nella notte, rimuginando su quello che sono e su quello che vorrei diventare e sul poco tempo a disposizione, sulla vita, sulla morte, sulla scrittura e al suo enorme potere in grado di cambiare sempre tutto, quando una donna con gli occhi spenti mi si avvicina pensierosa cullando alcune bottiglie di Coca cola in un passeggino traballante e malandato. Mi domanda se ho un euro e fra quanto tempo passa il treno. Le rispondo che l’euro non ce l’ho, che se ce l’avessi glielo darei volentieri e che il treno sarebbe passato fra 17 minuti. Mi guarda, smette di dondolare le Coca cola sfinite e schiumanti e mi sorride mostrando alcuni denti d’oro, borbottando qualcosa di gentile quasi arrossendo, e sedendosi alla mia sinistra. Ehm…fra quanto tempo, minuti passa? Mi ripete. Io il biglietto non lo faccio mai, annuncia una voce balbettante ma amichevole alla mia destra, eh sì io faccio il biglietto e poi i treni non partono, i soldi se li mangiano, non c’è manco l’aria condizionata e sono pure in ritardo. Eh sì io faccio il biglietto e che fine fanno i soldi? Se li mangiano! Provo ad indovinare. Se li mangiano! Ripete la voce appartenente a un tipo stempiato sulla quarantina, un signore stamattina, molto grosso e grasso, perde il treno e ha iniziato ad urlare, e quelli zitti! Nessuno osava controbattere! E tutti che lo incitavano ad incazzarsi sempre di più, e gridava “e ora come torno a casa? Ora come torno a casa?” Era grosso e grasso e nessun ha osato controbattere! “e ora come torno a casa?” Ehm…fra quanti minuti passa? Mi domanda la voce alla mia sinistra appartenente alla donna con gli occhi spenti e la bocca sdentata. Quanto? Cinque-sette-tredici minuti? Mi domanda la voce alla mia destra. La testa mi scoppia, mi capita spesso, non posso farci niente. Mi alzo lasciandoli lì coi loro dubbi pensando divertito a come sarebbe stato bello vederli amanti: lei senza denti, lui senza capelli. Una gran bella coppia.
Sono lì che passeggio ai lati dei binari fumando l’ultimo sigaro alla vaniglia, “fra quanti minuti passa?” mi urla la donna che una volta era alla mia sinistra, quando noto un gatto grigio passeggiare sicuro lungo i binari, avanzare tranquillamente sprezzante del pericolo anche quando il treno compare da lontano. Lui lo guarda, riflette, ma non si ferma. E’ una sfida tra lui e quella macchina infernale che vorrebbe farlo arretrare, che pensa di ostacolargli la strada solo perché è più grosso e grasso di lui. Ma il gatto invece avanza impavido e scansa all’ultimo momento il treno che fischia come arrabbiato contro chi ha osato sfidarlo. I passeggeri salgono. E schiaccio il naso contro il vetro unto pensando al gatto grigio: sarebbe morto per la sua voglia di avanzare sfidando un colosso di acciaio pur di non mollare, di andare avanti inseguendo la sua voglia di passeggiare lungo i binari. Di affrontare il suo sogno, e di andare nonostante tutto.
Schiaccio ancora incredulo il naso contro il vetro per un’ultima occhiata ed eccolo lì: il gatto, sano e salvo sbeffeggia sogghignando il treno. Riprendendo il suo viaggio, perdendosi come uno spettro che avanza lungo la ferraglia.