Il Dott. Raffaele Felaco è stato Presidente, dell’ Ordine degli Psicologi della Campania e dell’Associazione “Psicologi per la Responsabilità Sociale”. E’ anche il Responsabile della comunicazione del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi. Direttore Responsabile del “Notiziario dell’Ordine degli Psicologi della Campania” e Responsabile Editoriale di “Professione Psicologo” organo del Consiglio Nazionale dell’Ordine. E’ stato Docente in diversi Atenei e di “Psicologia dell’Emergenza” in diverse Scuole di Psicoterapia. Attualmente insegna “Psicologia Sociale e Dinamiche Familiari” all’Università del Molise.
Ha iniziato ad occuparsi di politica professionale nel 1999 e da allora ha ricoperto molti incarichi.
Lo intervisto alla fine di una conferenza tenuta per l’ordine degli psicologi, la sala è ormai vuota e qualcuno inizia a mettere a posto…
Che cos’è la psicologia e perché ha scelto di fare lo psicologo?
Il perché l’ho scelto ci saranno delle ragioni inconsapevoli che naturalmente non conosco ancora, però a sedici anni lessi un libro, che ho scoperto essere ancora in commercio incredibilmente, un libro edito negli anni ’60 di Pierre Daco, un professore francese, che si chiama “Che cos’è la psicologia”. All’epoca era una Garzantina adesso è un volume comunque molto grosso, e lessi questo libro che trovai per caso a casa di un amico, e man mano che leggevo, questa materia mi sembrava che io già l’avevo pensata, e quindi è come se la psicologia fosse dentro di me e che usciva lì scritta in quel libro. A un certo punto quel libro parlava di un aneddoto un po’ bizzarro, apparentemente, che ti dice anche l’epoca in cui è stato scritto e pensato, che dice: se per strada c’è un uomo anziano che tira un carretto, tu che fai? Lo aiuti a spingere il carretto o fai finta di niente e giri la faccia dall’altra parte? E lui diceva: un uomo sicuro di sé spinge il carretto del vecchio, lo aiuta, un uomo insicuro, no. E io pensai: se la psicologia serve a questo, cioè a diventare sicuri di sé in questo modo, cioè di poter essere di aiuto vero, di supporto agli altri, di non avere timori di esporsi al giudizio del pubblico, allora è la mia strada. Ecco perché.
Come se ogni cosa combaciasse…
Esattamente
Quindi è anche un lavoro di responsabilità morale e sociale…
In quell’epoca io ero uno studente impegnato, stiamo parlando dei primi anni ’70, quindi io avevo fatto il ’68 ed ero impegnato politicamente nel movimento studentesco, rivoluzionario, cercavamo una via per la rivoluzione e pensai che la psicologia potesse essere una rivoluzione, e se non altro era sicuramente uno strumento rivoluzionario. Quindi mi sono avvicinato e mi sono impegnato anche per questa ragione, cioè per poter fare una rivoluzione, un cambiamento, cosa che poi ho approfondito nel corso del tempo e un po’ in tutto quello che faccio, che ho fatto nella professione ha seguito questa strada.
Qual è il compito più difficile di uno psicologo?
Il compito più difficile di uno psicologo è essere congruente, cioè essere congruente con se stesso, essere sempre in armonia tra il suo interno e il suo esterno, che è uno sforzo difficilissimo, che ovviamente è una cosa positiva che tutti dovrebbero fare, però possono non farlo, mentre per uno psicologo è un dovere, questa è la differenza.
Come farlo, nell’ambito della formazione?
Nell’ambito della formazione, ma anche in percorsi terapeutici privati, personali… Perché chiaramente se noi crediamo di poter utilizzare degli strumenti della psicologia o meglio della psicoterapia per la trasformazione della personalità . ovviamente per prima cosa dobbiamo sperimentare su noi stessi.
Qual è stato il momento più difficile della sua carriera?
Io ho sviluppato una carriera professionale all’interno dei servizi pubblici, che poi si sono trasformati., quando ho iniziato io devi pensare che alcuni pezzi della sanità dipendevano dal comune, infatti io sono entrato al comune, e poi ci fu un momento in cui hanno uniformato tutti i pezzi della sanità, che era sparpagliata in vari enti ecc. e hanno fatto il sistema sanitario nazionale, e io già stavo dentro quindi sono rimasto dentro a questo percorso, poi questo sistema sanitario nazionale è stato cambiato, fino ad arrivare alle odierne Asl.
Quindi era una situazione diversa da quella attuale, in fase di costruzione…
Sì era proprio tutto sparpagliato, erano tante cose separate, alcune funzionavano meglio di oggi, altre funzionavano peggio, però era un altro mondo. Per me la difficoltà è stata che proprio quando sono sorte le Usl, quindi questo sistema sanitario nazionale, come io facevo anche ricerca scientifica, che poi ho continuato a fare part-time, è stato quello un momento di una scelta: mi dedico alla ricerca, quindi significava precariato, significava chissà quanto tempo prima di una sistemazione, oppure resto qui al comune, dove avevo uno stipendio? Ho scelto di restare al comune, però come tutti quelli che fanno delle rinunce mi sono poi pentito per tutta la vita e continuerò con questo pentimento, perché poi ho continuato a fare ricerca part-time, all’epoca era con l’Istituto di psicologia del Cnr, pensa che adesso l’istituto esiste ancora ma gli hanno cambiato anche il nome, il mondo è cambiato proprio completamente.
In cosa consiste il lavoro dello psicologo?
Il lavoro dello psicologo… Lo psicologo fa due cose importanti attraverso un mezzo che è molto complicato da spiegare che si chiama “ascolto attivo”, cioè uno sta lì, ti ascolta, quindi non parla, sente, però questo suo sentire è attivo e tu te ne accorgi. Attraverso questo strumento, quindi questo metodo di lavoro, aiuta le persone a organizzare meglio le proprie idee, perché c’è un concetto fondamentale della mente umana che è quello che non si pensa bene a una cosa di cui non si parla, però anche questo parlare non può essere un bla bla bla di chiacchere da talk show, ma un modo di parlare che aiuta il pensiero, e questa è una cosa che si fa con lo psicologo, ed è una cosa apparentemente semplice, ma in effetti invece è molto difficile da fare.
Quindi un ascoltare costruttivo finalizzato a un rimpasto di idee o comunque a un responso formativo…
Diciamo che le persone stesse che parlano organizzano meglio il loro pensiero grazie a questa attività, a questa azione. L’altra cosa che fa lo psicologo è che cura le relazioni facendo sperimentare a una persona, nel corso di un percorso terapeutico, una relazione sana. Attraverso questa sperimentazione di una relazione sana le persone correggono il loro modo di stare in relazione con le altre persone, cioè col mondo.
Lei è stato presidente dell’ordine degli psicologi della Campania, perché c’è bisogno di un ordine degli psicologi?
C’è bisogno dell’ordine perché in Italia le professioni sono tutelate. Cioè significa che per svolgere una determinata professione ci vogliono dei requisiti specifici, che significa lauree, che significa titoli di studio adeguati ecc. questa è una professione estremamente complessa che richiede questa protezione, che è una protezione dello stato, ma è una protezione per i cittadini, altrimenti chiunque potrebbe dire apro un centro di ascolto, mi metto qui e ascolto la gente. Ma nell’ascolto si creano delle influenze, quindi queste influenze potrebbero essere usate in maniera negativa, insomma è una cosa importantissima. E l’unico mezzo per tutelare i cittadini da queste cose è l’Ordine, nel nostro sistema giuridico. Ovviamente parliamo dell’Italia, e parliamo dei paesi che hanno questo sistema giuridico, cioè i paesi latini, mentre nei paesi anglosassoni hanno il metodo dell’accreditamento, che apparentemente sembra che sia più facile e più aperto, invece è metodo più chiuso ancora, perché per quanto se ne dice che “in Inghilterra non c’è un ordine degli psicologi, quindi perché qui ci deve stare, eppure la psicologia è diffusa…” Certamente, ma tu per poter esercitare la professione di psicologo in Inghilterra, o anche in America, tu devi avere dei requisiti formativi e professionali enormemente più stringenti, allora anche più costosi, per cui ci arriva un élite. Quando dicono che l’Italia ha il 50% degli psicologi in Europa, che è vero, e anche il 50% degli studenti di psicologia d’Europa, quindi è un fenomeno un po’ esagerato quindi. In Inghilterra ci sono pochissimi psicologi, mi sembra siano 20.000, una cosa del genere, è perché è una professione ancora più esclusiva, perché tu per arrivare a poter esercitare c’è il metodo dell’accreditamento, quindi non quello dell’ordine, dell’esame di stato ecc. ma per avere quell’accreditamento tu devi dimostrare studi, attività professionali, lavori ecc. per aderire a quell’associazione che è riconosciuta poi dallo stato come l’associazione di riferimento, quindi tu se non sei iscritto a quell’associazione scientifica non puoi esercitare. Tu devi pensare che con i titoli nostri italiani una collega, una mia tirocinante, si è trasferita in America, negli Stati Uniti, che sono cinquanta paesi, e quindi ogni stato ha le sue regole diverse, si è trasferita da psicoterapeuta italiana, ha presentato i suoi titoli lì per diventare psicologo, psicoterapeuta, e le hanno riconosciuto il livello di counselor, con i titoli che qui noi vantiamo di psicoterapia. Naturalmente in altri paesi della comunità europea dove c’è il sistema ordinistico tu sei psicoterapeuta e se tu vai là e conosci la lingua sei psicoterapeuta anche là.
Nel suo documentario “La psicologia italiana raccontata a mia figlia” lei intervista diverse personalità di spicco della psicologia tra cui Adriano Ossicini, che è uno psichiatra e politico italiano, leggo da Wikipedia, ex partigiano e docente universitario, autore della legge Ossicini n.56 del 18.2.1989 che regolamenta la professione di psicologo e psicoterapeuta in Italia. Qual è il rapporto, se c’è, tra la psicologia e la politica?
La psicologia non è in rapporti stretti con la politica per la sua stessa natura, perché la psicologia è portatrice di un pensiero debole, che è il pensiero delle emozioni, il pensiero della problematica emotiva, non è portatore di un pensiero forte, di un pensiero economico, di un pensiero del potere, e quindi per sua stessa natura è una professione che si svolge in segreto, col massimo della discrezione, col massimo della privacy, per suo steso codice deontologico lo psicologo non può interagire con i cittadini che sono suoi pazienti in altre forme, quindi la psicologia è lontana dalla politica e dalla visione della gestione del potere e dei rapporti di potere. Questo naturalmente è un bene quando noi parliamo di certe cose, ed è un male quando parliamo di altre cose. Allora io ho cercato di superare questo gap, che per esempio favorisce moltissimo i medici, che hanno invece una visione del potere, e quindi loro hanno tutta una filosofia e una dimensione del potere anche deontologica, e quindi loro sono agevolati nel loro compito e tant’è vero che in parlamento ci sono cento medici, quindi non è un caso naturalmente. Allora io ho cercato di superare questo gap, quando sono stato presidente dell’Ordine ho promosso una legge a iniziativa popolare, perché se facevamo una cosa proposta dagli psicologi sarebbe stata una cosa innanzitutto minoritaria, perché gli psicologi in Campania sono 6.000, e sono pochissime persone sul piano della politica, e naturalmente sarebbe stato anche visto come un fatto di lobby, e quindi un interesse specifico, non un interesse della collettività, allora io ho proposto, insieme a mille psicologi che hanno partecipato a questa iniziativa, una legge a iniziativa popolare (casi rari in Campania, perché già la Campania ha una normativa molto restrittiva perché non vuole leggi a iniziativa popolare, e poi in Campania nessuno riesce a organizzare veramente la gente) e abbiamo raccolto 22.000 firme, e sono firme certificate. E grazie ai rapporti che io ho costruito durante la mia presidenza con più di 200 comuni in questa regione con l’iniziativa che si chiama “Città amiche del benessere psicologico” io ho costruito queste cose nel tempo e sono riuscito a fare questa cosa. Naturalmente con 22.000 firme abbiamo fatto paura, il consiglio regionale si è schierato, e quindi ci ha approvato questa legge. Se noi adesso abbiamo una legge nella regione Campania, siamo l’unica regione ad avere una legge, è stato grazie a questa nuova adesione politica, che è quella di coinvolgere i cittadini.
Parlando ancora del suo documentario, Renzo Carli dice che “l’intervento psicologico è un pensare emozioni, e l’unico modo per pensare emozioni è pensarle ironicamente”. Quanto è importante per lei l’ironia?
E’ molto importante, per me infatti io sono uno impostato in questo modo, soprattutto sull’autoironia, che è molto importante, perché bisogna fare nella vita tutto seriamente con il massimo della competenza possibile, ma non bisogna mai prendersi troppo sul serio, e quindi mantenere questo distacco. Se tu riesci a mantenere questo distacco da te stesso, lo puoi mantenere da tutto il resto.
Nella sua biografia, oltre alle sue competenze, leggo “…oltre alla politica professionale amo molto il contatto con la natura. Coltivo un secolare oliveto ed un giovane vigneto da cui ricavo un Aleatico che ho chiamato “Venenum Dulce”. Allevo con scrupolo materno alcune famiglie di generose api e provo a coltivare un orto (per ora produco solo ceci)”. Cosa c’entrano i ceci e le api con la psicologia?
C’entrano perché sono due espressioni della vita. Io sono interessato e appassionato a tutte le espressioni della vita. Ora le api sono un sistema complesso, affascinantissimo, sai che negli studi sociali sono molto citate le comunità di api, insomma è molto bella questa cosa qui. Ora io se avessi la possibilità alleverei uno zoo intero, non ho questa possibilità, gli unici animali che posso allevare abitando in città e avendo l’oliveto in campagna, quindi a molti chilometri di distanza, sono le api, che sono affascinantissime perché hanno la loro comunità, hanno il loro sistema organizzativo, sai che le famiglie di api hanno delle loro caratteristiche direi personologiche, cioè comportamentali, sì sono insetti e quindi sono molto simili tra di loro, quindi hanno più o meno le stesse cose, però io ho delle famiglie una accanto all’altra, 50 cm l’una dall’altra, che hanno comportamenti completamente diversi, perché hanno un patrimonio genetico diverso, ci sono quelle che producono di più, quelle che producono di meno, quelle più ordinate nella costruzione del favo e quelle un po’ più incasinate, hanno delle caratteristiche affascinantissime.
In cosa si differenziano, se c’è una differenza, le generazioni di ieri e quella di oggi?
C’è una grande differenza tra chi ha quindici anni oggi e chi li ha avuti cinquant’anni fa, non solo perché il mondo è cambiato, si è evoluto, vabbè la storia, internet e tutto il resto, tutto questo centra, ma la più grande differenza è nel rapporto con le generazioni precedenti. Fino a un po’ di tempo fa chi era un po’ più grande, cioè le generazioni precedenti, aveva il riconoscimento di una competenza di un sapere e di un potere da parte di quelli che erano più giovani, adesso è praticamente il contrario, adesso sono quelli più adulti che imparano da quelli più piccoli, il che da un lato è una risorsa, ma dall’altro è un problema, perché chi è più piccolo, sì, potrà pure essere un nativo digitale e capisce tutto degli organismi e delle cose, ma comunque è un giovane e non ha l’esperienza di vita e di competenza che invece ha una persona più adulta. Noi oggi ci troviamo in questa situazione paradossale difficile e io non voglio sembrare vecchio, e quindi non dico che la cosa mi preoccupa, perché in fondo mantengo una fiducia nell’essere umano ancora esagerata, quindi penso che troveremo gli aggiustamenti da questa cosa, il problema è però che i giovani non riescono ad affrontare, e noi lo vediamo, situazioni di stress, che invece in passato si era capaci di affrontare, di tensioni, di stress emotivo, e questo è l’aspetto veramente preoccupante, perché non si è allenati allo stress, perché prima c’era un sistema educativo basato sulle frustrazioni, oggi c’è un sistema educativo basato sull’evitamento delle frustrazioni, e si arriva a una certa età, adulta, a vent’anni, e non si hanno gli strumenti di difesa, per cui ti lascia una ragazza e può essere una catastrofe. Oppure quest’altra caratteristica di vivere completamente in una bolla, il fatto di essere connessi col proprio cellulare ad esempio, quella è comunque una connessione a un proprio ambiente e un proprio contesto di riferimento e non essere invece aperti all’ignoto, alla vera esperienza, e questo per esempio è un fenomeno strano. Oggi io vedo tanti ragazzi che hanno girato il mondo, noi non eravamo andati da nessuna parte, loro sono andati dappertutto, hanno girato il mondo, ma non hanno capito niente perché hanno girato il mondo sempre all’interno della loro bolla, cioè collegati e connessi col proprio contesto, e l’esperienza è stata vissuta isolata dal resto di chi ci sta intorno, quindi questa chiusura nel piccolo può essere un pericolo.
Un’ultima domanda… Una veramente facile, che cos’è la felicità?
Ah proprio facile! Ehm questa è una di quelle domande alle quali io proprio non so rispondere, perché sono quelle cose che possono essere tutto e di più, posso dire cos’è per me. Per me una giornata… Anzi te lo dirò con una frase di un mio amico scomparso e amato poeta, amato da tutti a Napoli, che è Pino Daniele, che dice: “ma basta ‘na jurnata ‘e sole e quaccheduno ca te vene a piglia’”, ecco, questa è.