C’era una volta la mia città che era piena di buche, era perché ora non lo è più. Successe che un giorno in macchina, traballando, scoprimmo che il papa nuovo ci avrebbe presto fatto visita: “il pontefice quindi atterrerà in elicottero e incontrerà i fedeli per le strade” diceva la radio. E sti cazzi, pensai. Ma io sono un miscredente e sottovalutai sin da subito quel sentore di aria nuova che tutti stavano iniziando a respirare. Pure i cartelloni, che spuntavano come funghi nel cemento, suggerivano che sarei dovuto esserne contento (e davvero lo fui poi alla fine, contro ogni aspettativa amai quel papa per i benefici che ne trasse il mio deretano).
Ero fermo al semaforo, ancora, perché i lavori stradali nella mia città si sa quando iniziano ma non quando finiscono, e poi finisce che la gente si affeziona alle New Jersey e gli scrive sopra le dichiarazioni d’amore alla fidanzata e quando poi le tolgono si prendono collera. Pure quei vecchi, che guardano i lavori per mestiere, hanno iniziato a crearsi valide alternative a quel senso di insoddisfazione data da quei lavori lenti in cui si usa un muletto ogni tanto, non esistono più quei bei lavori stradali di una volta in effetti…
Il semaforo scattava, sì, ma neanche il tempo di accelerare che ecco di nuovo rosso! La radio stava mandando un’altra hit del momento, ovvero un altro fallimento della musica italiana, i colombi appollaiati sulle teste delle statue di non so chi dominavano il traffico. Chissà se anche fra di loro c’è una gerarchia di tipo mafioso, me l’immagino: Hey Jack devi smerdare al volo quella donna ferma alla fermata del bus, però mi raccomando la voglio viva! Davanti a me il venditore ambulante di fazzolettini aveva escogitato una nuova strategia di marketing aggressivo basata sulla vendita diretta: non era più il compratore a chiedere ma a rifiutare direttamente. Al semaforo rosso distribuiva i pacchetti sui parabrezza delle auto e ne toglieva, quando era verde, se era fortunato, qualcuno in meno.
Alzai gli occhi al grande cartellone del papa, che era sorridente e mostrava un grosso pollice puntato verso l’alto, almeno lui era ottimista e concedeva la grazia a quel caos, e allora pensai che un miracolo per la mia città era necessario, e che se lui avesse portato un po’ di santità o riempito un paio di buche, sarebbe stato buono. Perlomeno avevamo poco da perdere, anzi, non ce n’era rimasto proprio niente. Il piano era stabilito dunque, sarebbe atterrato in elicottero, avrebbe accolto i fedeli e fatta felice qualche suora di clausura, non male. L’idea iniziò a piacermi. Guardai i suoi grossi occhi freschi di colla e ricambiai il pollice lasciandomi vincere dallo sconforto, forse a casa non ci sarei più tornato. Poi il miracolo. Un lamento, un suono, anzi no, una sirena da lontano, dietro di me, un incidente forse. Le macchine iniziarono a spostarsi sul lato destro per lasciar passare l’ambulanza, eccolo il mio momento. Mi incollo dietro come un manifesto abusivo su un palazzo storico che in periodo elettorale ignora il divieto di affissione ed esco finalmente dal traffico dirigendomi vittorioso verso casa.
Dimenticai poi l’evento, e dimenticai quando sarebbe venuto il papa nella mia città, ma il giorno promesso dalla radio venne comunque, perché è ovvio persino a noi stralunati che anche se viviamo in una dimensione parallela fatta di sogni e flashback bizzarri, gli eventi accadono e ce ne accorgiamo sempre troppo tardi. Così esco normalmente da casa e assisto sbigottito al miracolo:
le buche erano scomparse, o per meglio dire, coperte dal passaggio del papa. Mi infilo in macchina ed è un piacere per il mio deretano: le buche che prima mi causavano fastidiose irritazioni ora sono amiche di strada, ed anche il mio vicino di corsia sembra contento, il suo motorino non scompare più nei sanpietrini e la vecchietta che sta attraversando sulle strisce pedonali ben marcate pure non inciampa più e non chiede a quel bravo giovanotto di mettersi sotto al braccio e aiutarla ad attraversare perché ora le strade sono sicure e non c’è niente di cui temere. A quanto pare il santo padre ce l’ha fatta di nuovo, pensavo, ci ha conquistati con il suo sorriso sincero e ci ha sistemato le strade, e io che avevo preso alla leggera tutta questa storia, ora la sento l’aria nuova. Procedevo spedito su quel morbido manto vellutato che era il mio nuovo fondo stradale, quando una buca mi fece sobbalzare svegliandomi da quel dolce sogno, era tutto finito e la mia città tornò come prima:
la radio partì, era la voce della vincitrice di un talent show, un colombo cacò in picchiata sulla testa di una signora che aspettava il bus, una vecchietta che stava attraversando accompagnata da un giovanotto venne scippata da quest’ultimo e una folla nutrita di persone stava ora prestandole aiuto. Alzai gli occhi al cielo e mi accorsi ancora di un enorme cartellone del papa, ma stavolta, posso giurarlo, il suo pollice era verso e una smorfia di disapprovazione era comparsa sulla sua faccia.
Andai oltre, e stavolta non guardai più fuori, continuai per la strada vecchia e iniziai a intonare quel successo musicale del momento, perchè anche se ti fa schifo la impari a memoria prima o poi. Accelerai traballando, e che dolore il mio deretano!