Perché mai dovrei ancora essere iscritto a un club che non frequento più da anni, le cui regole sono ormai troppo lontane dal mio modo di condurre il gioco?
Un tempo sono stato cattolico: per cultura, per tradizione, non per scelta, mai. Sono cresciuto come tanti nel rispetto delle regole buoniste imposteci dal contesto: se non credi, ci hanno insegnato, qui rischi di offendere qualcuno. Poco importa ciò che fai, purché tu poi te ne penta insomma, la faccia, agli occhi degli altri, non dev’essere mai troppo esposta, pena la vergogna.
Questo meccanismo arguto su cui fanno leva milioni di tronfi bigotti (che in realtà nascondono, loro malgrado, ben più gravi scompensi emozionali) e di cui spesso ne sono pienamente vittime, a mio avviso è troppe volte usato per fini che poco hanno a che fare con l’ammansimento delle masse, e figuriamoci con la salvezza di ciò che usiamo concettualizzare con la parola “anima”.
Crescendo ho acquisito un mio carattere e l’esperienza mi ha insegnato a dubitare sempre delle cose, anche di quelle in cui credo: se io cambio vuol dire che il pensiero sta cambiando, e se c’è qualcosa che non riesco a capire o che rifiuto di ammettere consciamente, vuol dire che sono rimasto indietro o che non ci ho pensato abbastanza. Quindi sono fuori, smetto di crescere in nome di un rispetto reclamato a gran voce, e non solo, dettato da una paura atavica della morte: il pensiero muore per affrontare la morte. Questo è il più tremendo dei crimini che un’istituzione creata dagli uomini in nome di un’entità, possa esigere da un individuo che ha il diritto di crescere libero e indipendente senza dogmi e sensi di colpa, libero di decidere, e di impegnarsi di conseguenza, da quale parte stare e come regolare la sua morale. Che poi io creda di appartenere a una morale giusta oppure no è un altro discorso, e cosa è giusto o sbagliato per me è davvero del tutto opinabile.
Io credo nella libertà di scegliere chi sono, voglio sentirmi svincolato dalle definizioni, soprattutto se richiedono vincoli che non ho mai accettato. Credo nelle prospettive, nelle motivazioni se fondate sulla ricerca, nella scoperta, nel confronto quando è sano, nel credere in qualcosa e fregarsene se chi ti sta a fianco ha le mani conserte o poggiate a terra, nelle persone, nella fede quando non è atta alla conversione, nell’associazionismo performante che esce fuori per le strade e aiuta il prossimo in difficoltà. Ne ho conosciute persone così: a loro non importa la politica. Sentono che qualcuno ha bisogno di loro ed escono fuori, ne hanno il coraggio, e aiutano come possono ad alleviare la sofferenza di chi non ha più speranze nel futuro: questa è la vera fede che dovrebbe esercitare chi crede che con le preghiere e le belle parole si risolvano le cose.
Allora quando tutto questo predicare diventa fine a se stesso, non resta altro che un’istituzione politica Spa, che ha immense ricchezze e gerarchie severe, che ti dice di amare il prossimo, non questo, il prossimo, che discrimina il “diverso” e ti dice che se non la pensi come loro se un emarginato.
Bene, allora io voglio essere il “diverso” e sporcarmi le mani se qualcuno ne ha bisogno, perché è stata una mia scelta e nessuno me l’ha imposto.
Ho già parlato qualche articolo fa di cosa sia per me la fede e di quello in cui credo, di come il concetto di Dio sia una questione troppo personale per riuscire a essere spiegata, e di come alla fine le differenze importano poco se dalla diversità vi è ricchezza culturale.
Questo atto di protesta, perché alla fine di questo parliamo, lo considero un atto dovuto, verso me stesso, e la mia onestà intellettuale.
Sbattezzarsi con una raccomandata a/r, inviare questo messaggio, è possibile.