Storia di una ragazza post moderna al limite tra la follia e la realtà.

Domenica 20 Gennaio intorno alle tre le mattino stavo salendo a casa, la strada che faccio tutti i giorni in salita dopo le mie uscite. Prima di avviarmi verso casa mi trattengo nel luogo dove lavoro. Si fa tardi, si chiacchiera aspettando la chiusura con le mie colleghe.

Saluto tutte e inizio la mia camminata notturna che in quest’ultimo anno trovo molto piacevole, sconfiggendo quel mostro di paura che ti attanaglia la mente quando sei sola di notte. Mi capita spesso di esserlo, sono sola tra le luci dei lampioni e la puzza di urina della gente che piscia di notte per strada. Tutto ha un suo riconoscibile odore, lo ricordo. Capita di incrociare qualcuno sulla tua strada, chi passa nel suo mondo e non si cura di te, chi invece prova a scambiare qualche parola ma tu nel tuo mondo fingi di non esistere e prosegui dritto per la tua.

Ieri la mente era irrequieta, perché aveva registrato una serie di informazioni ed eventi pericolosi: una rapina in una paninoteca avvenuta sempre di Domenica, (una settimana precedente al mio racconto) e dopo una conversazione con le vittime dell’ accaduto salendo a casa dopo il lavoro, qualcosa aveva attirato la mia attenzione. Una persona di cui non saprei dare nessun dato di carattere socio demografico stava rovistando nella spazzatura. Era a venti metri da me, ma nonostante la distanza riuscivo a mettere a fuoco questa scena, nonostante questa persona non si fosse accorta di me, la mia mente ha iniziato ad agitarsi. Ho attraversato la strada cercando di essere silenziosa, di avanzare il passo restando bassa tra le macchine manco fosse la scena suspense di un film horror. Ammetto di essermi osservata e di aver pensato che forse stavo esagerando perché effettivamente quella persona non si era accorta di me.

Veniamo a ieri sera, quando saluto le mie colleghe e inizio la passeggiata verso casa. Ad un certo punto mi sono accorta di non essere più sola, e questa cosa mi ha allarmata, sembrava di vivere la stessa scena, solo che questa volta mi trovavo di fronte ad una persona che faceva una cosa diversa dal rovistare nella spazzatura: stava al telefono. La mia mente ha iniziato ad elaborare la diversità di provenienza almeno così potevo immaginare, ma il punto della mia riflessione va oltre la retorica attuale sull’immigrazione e sul razzismo essenzialista, ma di questo ne voglio parlare alla fine del racconto. La prima cosa che ho fatto è stata di abbassare il volume del cellulare, Lady Gaga a palla in una situazione di probabile pericolo non è il massimo della prudenza (non è un caso che la mia scelta musicale sia affine alla personalità dell’ artista e con la riflessione di questo periodo). Come da copione del film horror attraverso la strada e inizio a passo veloce una corsa contro il pericolo, per ora tutto nella mia mente. Ad un certo punto questa persona si accorge di me e fa una cosa che avevo predetto anticipatamente per paura. Insomma, paura o no, l’uomo attraversa e siamo sulla stessa strada nel giro di pochi secondi. Tolgo una cuffia, inizio a camminare velocemente, ho un po’ di accelerazione cardiaca ma cerco di mantenere la calma. Martina, va tutto bene, la mente non ha sempre ragione e tutte queste modalità di auto aiuto psicologico. Ma puoi dirti tutto quello che vuoi, se la paura scatta vuoi solo scappare. Mentre dialogavo con me stessa cercando di non cadere nella trappola dei miei pensieri, sentivo la presenza di quest’uomo sempre più vicina. Sempre più vicina, fino a quando non lo trovo al mio fianco che sorride sempre con in mano il cellulare, ora questa persona riesco a vederla e riconoscerla sempre più da vicino. È di poco più basso di me, continua a sorridere, ha la pelle scura, mi chiede come sto e come mi chiamo. Io faccio finta di niente, per un secondo lo guardo cercando di mantenere il passo veloce, rapace. Ho un po’ di paura. Continua a chiedermi il nome, dove stavo andando, come stavo, tutto mi infastidiva del suo parlare. Mi giro verso di lui, quasi mi fermo e gli dico che non è serata, con un tono molto austero. Lui mantiene il sorriso, e mi dice che lo capiva anche lui aveva appena finito di lavorare. Ma nonostante questo era in salute e il lavoro non gli mancava. Queste parole non mi hanno diciamo aperto gli occhi, ero sicura che l’avrei mandato a fanculo che la storia del ti comprendo non avrebbe funzionato. Ma poi ho capito che in fondo quella persona era venuta per farmi compagnia, e che in fondo avevo bisogno di questo. Ho spento la musica, e abbiamo iniziato la nostra fugace conoscenza. Ho iniziato con il solito pippottone del come sei venuto qui, e lui sorridendo mi dice che non ha nessuna storia particolare e tragica da raccontare “sono stato più fortunato di tante altre persone” deve molto a suo zio che vive in Italia ormai da trent’anni. Dopo una permanenza a Verona di cinque anni e altre città, Napoli è il posto migliore che poteva sognare. Il suo lavoro gli piace, ora è un aiuto cuoco. Mi sembrava così sincero e felice che mi sentivo così fortunata per avere incontrato una persona giovane con la quale condividere una passeggiata verso casa, ma allo stesso tempo pensavo a quanto sola e infelice mi sento in certi periodi della vita. Quando ci siamo salutati con una stretta di mano, ho capito che quel ragazzo aveva bisogno di compagnia come me, perché la vita è fatta di momenti di solitudine aberranti dai quali devi lottare per uscirne. Niente a che vedere con la questione sulla diversità, sull’identità, su ciò che è giusto o cosa è sbagliato.

Siamo tutti ingabbiati nella nostra solitudine che a volte ci dimentichiamo della realtà, della vita attorno a noi, delle persone. I pericoli fanno parte della solitudine, il razzismo è solitudine, il dolore è solitudine. Per quello che è stato un attimo fuggente della mia esistenza non mi sono sentita sola. Ho scelto di non esserlo, tutto qui. Sono una persona molto fortunata.

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Martina Porcelli. Studio Sociologia a Napoli, e non so ancora cosa posso aspettarmi dalla vita, ma ci sto lavorando, giorno dopo giorno. Mi piace coltivare emozioni in tutte le sue forme. *I fatti qui raccontati vogliono descrivere le idee e la personalità di chi parla. in nessun caso bagni pubblici intende prendere posizioni riguardanti idee politiche, religiose e di qualsiasi altro tipo a meno che non venga espressamente dichiarato dal sottoscritto. pertanto declino ogni responsabilità dovuta ad affermazioni o ad azioni compiute dagli intervistati che potrebbero urtare la sensibilità di qualcuno. Carol Christi

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