Ho vissuto attraverso la Vita in molte forme, più di quante io possa realmente ricordare. Sono stato uomo e bestia, mare e cielo.
Ho rivestito una moltitudine di aspetti prima di acquisire questa mia forma,
Sono morto e rinato molte volte, me ne ricordo chiaramente.
Sono stato goccia di pioggia nell’aria, sono stato una stella splendente, sono stato parola fra le lettere sono stato luce della lampada, per un anno e mezzo.
Sono stato strada, sono stato aquila, Sono stato l’effervescenza della birra. Nell’acquazzone sono stato goccia, spada nella mano, corda dell’arpa degli incantesimi, […] nove anni.
Nell’acqua sono stato la schiuma; ferro di cavallo nel fuoco, albero fra gli arbusti
Non vi è nulla di cui non sia stato parte.
Taliesin
Una forma, un linguaggio, un sistema, per sopravvivere deve innovarsi continuamente.
Il cambiamento è un processo dell’esperienza umana che ci invita a riflettere sull’esistenza dell’uomo e delle cose nel mondo.
Questo fenomeno liquido corrisponde alla capacità di rinnovarsi, se associato al processo creativo dell’arte può rielaborare un nuovo modello educativo per le società, scoprendo nuovi strumenti per migliorare le nostre esperienze di vita. Tra le forme più intime dell’espressività umana c’è il teatro.
La sua rappresentazione, fin dalle sue antichissime origini, ha aiutato le civiltà a tramandare la memoria, varando nel tempo nuovi fini per comunicare con la realtà, criticandola con ogni mezzo.
La funzione del teatro è avvicinarsi alle persone, cercando il punto di vista di ognuno, ponendo delle riflessioni di critica alla quotidianità.
La performance teatrale ha degli effetti sul sistema sensoriale dell’individuo, un presupposto per comprendere che il teatro è un meccanismo recettivo da cui tracciare le mappe per interpretare la realtà e l’intenzionalità umana.
Cercando di non divagare sulle origini del teatro, voglio raccontavi la mia esperienza di qualche mese fa, che ha cambiato radicalmente il mio modo di concepire il teatro, rispetto agli standard di performance teatrale.
Anche quest’anno, nel mese di Dicembre, il teatro Bellini di Napoli con grande attesa ha ospitato lo spettacolo del celebre regista teatrale Luciano Melchionna “Dignità Autonome di Prostituzione”, ideato dalla collaborazione con Betta Cianchini.
Dignità autonome di prostituzione (Dadp) nasce nel 2007, riscuote subito un fortissimo successo di critica e pubblico, vince il Golden Graal nel 2008 per l’idea e per la regia, viene replicato dal 2007 al 2014 nei teatri più prestigiosi d’Italia, tra cui il teatro Bellini di Napoli.
Dignità autonome di prostituzione è stato definito dallo stesso regista un bordello, “una casa chiusa dell’arte “, i cui spettatori muniti di “dollarini “, partecipano ad una trattativa individuale o di gruppo con i loro avventori-attori di turno, la quale determinerà uno scambio” fra spettatori- clienti e attori-prostitute, il cui contenuto non avrà valore economico bensì artistico.
Il contenuto dello scambio sarà uno spettacolo emozionante della durata di 15 minuti circa, ispirato dai classici del teatro o dai testi contemporanei scritti dallo stesso Melchionna.
Un format particolarmente innovativo da un punto di vista concettuale e strutturale, nel quale la percezione della dimensione scenica è stravolta, o meglio ci sembrerà insolita.
Non avremo la sensazione di essere a teatro, ma di “partecipare a teatro”.
Lo spazio scenico è un luogo di vita, movimentato dalle interazioni continue tra gli attori e il pubblico. Ci troviamo di fronte ad uno scenario surreale in cui nessuno spettatore è escluso dal suo ruolo di attore partecipante.
Siamo generalmente abituati all’idea di essere degli osservatori passivi, ad applaudire solo a fine spettacolo, ad esibire la solita espressione di gesso e tanti altri stereotipi di come dobbiamo comportarci a teatro. Far parte di questa eclettica famiglia significa fregarsene della morale e del buon costume, essere clienti del bordello significa partecipare ad un gioco provocatorio in cui vendere l’arte è un’arma vitale, necessariamente finalizzata alla critica della realtà sociale, ormai spietata e disumanizzata, assorbita dai vizi del Capitalismo e dalla mercificazione del corpo e dei valori umani.
Nella mia esperienza in casa Dadp ho avuto il piacere di incontrare Ivano Picciallo ed il suo monologo, tratto dal romanzo di Luigi Pirandello “Uno nessuno e centomila, riduzione e adattamento a cura di Luciano Melchionna.
Ivano, attore e acrobata con esperienze di teatro e televisione, è l’ultimo arrivato della famiglia di Dadp, nel ruolo di Vitangelo Moscarda ha emozionato la nostra piccola platea.
Nei panni del tormentato uomo dai mille volti, ha giocato con specchi e maschere simboli cardine del teatro pirandelliano, ha scarnito un’immagine fragile e decadente dell’uomo moderno afflitto dalla sua forma, dal suo essere diverso agli occhi degli altri, rispetto a ciò che la vita, il nostro essere ci definisce.
Voglio ringraziare Ivano per avermi concesso il privilegio di questa intervista, per aver dato un’immagine autentica del teatro, sempre più vicina al suo pubblico, prima dopo e durante.
Ed infine a Luciano Melchionna, è solo grazie alla sua magistrale professionalità, critica, amore per l’arte del teatro che stiamo ritornando partecipativi proprio come dei veri attori, non dimenticando mai di essere intimi ed autentici spettatori delle nostre emozioni.

Per quale motivo e in che modo il teatro sta ribaltando i canoni dello spettacolo tradizionale?
Ivano: Non credo ci sia un ribaltamento. Forse perchè non credo ci sia uno spettacolo ‘tradizionale’. Credo ci siano invece il Teatro e Lo spettacolo, che sono cose differenti, come precisava il Maestro C. Bene. Noi che facciamo Teatro, o almeno ci proviamo, ricerchiamo un’intimità e una verità assoluta con il pubblico, con le persone. Questo perchè la società, oggi, secondo me ha bisogno di questo. Il teatro non fa altro che – o almeno dovrebbe – rispecchiare la realtà.
Il teatro è metafora del cambiamento sociale e culturale. Quali processi culturali sono importarti per interiorizzare questo cambiamento?
Ivano: Credo sia necessario divulgare con dedizione e generosità, soprattutto nelle scuole, la conoscenza dell’arte in tutte le sue forme. Crescere sin da piccoli con la consapevolezza che l’Arte, in ogni sua forma, sia indispensabile, vitale e utile tanto quanto lo studio delle altre discipline. Questo sarebbe un grande cambiamento.
Dignità autonome di prostituzione ha rielaborato un tipo di struttura che rompe gli schermi/schemi indotti dall’industria culturale? In particolare dalla televisione ed il cinema?
Ivano: Ha rotto gli schemi certo. Dadp ha il coraggio di essere Spettacolo e Teatro allo stesso tempo, rompendo il divario consueto, la convenzione che c’è tra attore/spettatore, mostrandola per quello che è: Persona/attore-Persona/Spettatore. Ci incontriamo non solo come Attore /Spettatore, ma come persone tra Persone. Gli spettatori sono chiamati ad attivarsi – come dice sempre il nostro Papi Melchionna , a scegliere, a partecipare: questo è importante. La tv e il cinema non possono farlo… non hanno occhi e tantomeno cuore, così è impossibile lo scambio.
Come cambia il punto di vista dell’attore e la sua dimensione scenica quando è distante dal palcoscenico?
Ivano: Molto. Diventa più intima, più intensa, e questo accade anche grazie allo spettatore che è messo in una condizione di attenzione, assoluta e partecipe, che il palcoscenico non crea, anzi. La cosa interessante è avere, nella stessa sera, un pubblico sempre diverso nella nostra stanza e ‘scambiare’ con ognuno di loro in modo differente ma sempre totale. .
In base alla tua esperienza, quale dimensione ti suscita più emozioni?
Ivano: Mi stai chiedendo di dare un peso alle emozioni. Non saprei
Quanto è importante l’interazione con il pubblico?
Ivano: E’ molto importante, soprattutto se lavori in maschera. Io lavoro con la Commedia dell’arte dove il rapporto con il pubblico è tutto, altrimenti saremmo marionette o Pupi siciliani. Non ti nascondo che qualcuno crede che la Commedia dell’arte e le marionette siano la stessa cosa… perdona il risentimento;)
In che modo Dignità Autonome di Prostituzione sta dando dignità al teatro? Perché è importante restituire al teatro la sua vera identità?
Ivano: Perché sta dando spazio alla meritocrazia che in questo paese langue da ormai troppo tempo, alla qualità, alle emozioni intese come divertimento che si va a sostituire alle ‘facili risate gratuite’… e perché, come dicevo, rende possibile l’incontro tra le persone. Noi Artisti e Loro pubblico, nelle nostre stanzette ci spogliamo e ci rivestiamo in continuazione delle nostre maschere, ci rapportiamo dunque, ci conosciamo. Viviamo un po’ insieme.
Sulla seconda domanda ci sarebbe da fare un trattato. Ma ad ogni modo, credo che aimè l’identità il nostro teatro ce l’abbia e come. Purtroppo a volte non vogliamo riconoscerla.
C’è un legame di interdipendenza tra i concetti Dignità e Autonomia? O se c’è una contraddizione tra di essi?
Ivano: La dignità non prescinde dall’autonomia. E’ acquisibile anche in un rapporto di non autonomia. E’ molto personale.
Quanto è importante l’autonomia nel processo creativo del teatro?
Ivano: La domanda non mi aiuta nella risposta. Ma ci proverò. Io non credo nell’autonomia ma nell’onesto scambio artistico e interculturale per la creazione, ad ogni livello. Del resto il teatro si fonda su questo. Se non hai occhi che guardano non può esistere.
La società odierna è orientata al consumo e all’acquisto di beni per soddisfare il bisogno di appartenenza ad una determinata cultura, gruppo sociale: il vostro spettacolo è un atto di provocazione? O un intermediario di questo fenomeno?
Ivano: Sicuramente. E’ trasversale, e per questo forse un po’ provocatorio lo è. Riporta lo spettatore ad una dimensione umana dove i sensi e le emozioni possono liberarsi. Senza distinzioni di età classe sociale o cultura.
Il tuo personaggio. Puoi raccontaci la sua storia?
Ivano: E’ semplicemente un Uomo che riscopre se stesso, e la bellezza e la semplicità di vivere la vita.

Il ruolo che hai interpretato ha cambiato la tua esperienza di uomo e di attore?
Ivano: Come uomo per niente. Ero e sono già un Grande Uomo. (scherzo Ovviamente).Come attore mi ha dato la possibilità di lavorare su qualcosa di più piccolo intimo, palpabile, di cercare e scavare più a fondo. Con la commedia dell’arte e quindi con la maschera, si parte da un emozione per poi esternarla quasi in maniera esasperata in tutto il corpo. In questo lavoro con Luciano (che viene anche lui dalla commedia dell’arte, oltretutto) ho scoperto il processo inverso. Bello no?
Luigi Pirandello è stato uno dei massimi innovatori della letteratura italiana del Novecento; ha scritturato tra le più importanti opere teatrali, smascherando le illusioni universali della vita sociale. Quanto il suo contributo artistico e umano ti ha aiutato a rielaborare la tua esistenza?
Ivano: Ha aiutato a conoscermi ancora un po’. In fondo il nostro mestiere è anche questo, cercare disperatamente noi stessi.
Vitangelo Moscarda è il protagonista di “Uno, nessuno e centomila”, un uomo qualunque che un giorno vivrà un infinito conflitto esistenziale tra vita e forma che lo porterà alla follia come unica via di fuga dalla realtà. Esiste Vitangelo Moscarda in ognuno di noi?
Ivano: Tutti siamo Vitangelo Moscarda, davanti ad uno specchio.